Medardo. Rosso. Vibra. Tempo.
Scrisse un capo rivoluzionario del secolo scorso (che lascio indovinare)
che (ancora un che…) per fare un passo avanti, a volte (ma lui pensava…
sempre) bisogna farne due indietro, per comprendere meglio, di più,
dove andare e cosa fare. È il caso di Medardo Rosso (1858/1928) che
introduce in Italia, allora in piena sbornia monumentalistica e cimiteriale,
impersonata dalla figura mastodontica e non disprezzabile di Leonardo
Bistolfi (1859/1933), non solo l’impressionismo, che non sarebbe poco,
ma tutto un nuovo modo di costruire l’immagine plastica, lasciandosi alle
spalle ogni autorità del “michelangiolismo” gonfiato di Rodin e mettendosi
alla stregua di un Brancusi (che è più giovane di lui, gli sopravvive, ma
possono stare sullo stesso podio di vincitori. L’uno figurale, l’altro astrale,
sono la dimostrazione di un percorso dell’arte, in cui la forza della personalità,
arricchisce, corrobora, inventa, ogni poetica, ciò che altrimenti diventa, così,
sclerotico, ripetitivo. A passare in rassegna i suoi Ecce Puer, Bambino Ebreo,
Behold the Child, The Golden Age e soprattutto il Bookmaker, non basterebbe
un capitolo intero, di cento pagine, in un libro di mille pagine su di lui e la
sua opera che è sempre più apprezzata, proprio per quel tanto, tanto, che vale.
Ora voglio fare parlare lo stesso Medardo, trascrivendo un passo di sue
considerazioni, sull’impressionismo in scultura. Eccolo: “Come la pittura,
anche la scultura, ha la possibilità di vibrare, in plurime spezzature di linee,
di animarsi per via di sbattimenti d’ombra e di luce, più o meno violenti,
d’imprigionarsi misteriosamente in colori caldi e freddi, quantunque la
materia ne sia monocroma, ogni qualvolta l’artista sappia calcolare bene
il chiaro scuro, che è a sua disposizione; di riprodurre, in una parola,
gli esseri, con tutto il loro ambiente, proprio di farceli rivivere”. Si tratta
di una riflessione che è poetica, che è scientifica, che è tecnica, ma
soprattutto è artistica nel senso totale del termine, di avere, cioè, capacità
di vedere nella materia grezza, il fantasma della propria mente e farlo
vivere in essa. In un modo che possiamo definire di factura, che non
è espressione di lavoro manuale e basta, ma sua qualità intrinseca,
enigmatica, che non esiste, né prima, né dopo, ma sia manifesta proprio
nel susseguirsi delle opere; poi nell’opera, moderna, originale di Medardo.