CLIMAX 12 di Francesco Gallo Mazzeo

Cagnaccio di San Pietro

 

Natale Scarpa, in arte Cagnaccio di San Pietro (1897 – 1946) è una

di quelle figure fondamentali del primo cinquantennio del

secolo scorso, la cui forza è tutta in mezzo a noi, perché non è

avvenuta una cesura col secolo che stiamo vivendo, neanche calcolando

il trapasso di millennio, che non è stato traumatico come il precedente,

in cui l’umanità s’aspettava la “fine del mondo”. Guardando i suoi

quadri, tra cui il grande disegno che ho qui davanti a me mentre

scrivo, La Fonte (una sanguigna su carta intelata, del 1935) oppure

la strepitosa Dopo l’orgia rifiutata nel “28, dalla commissione della

Biennale di Venezia, presieduta da Margherita Sarfatti, perché provocatoria

anticonformista, illusoria, irsuta, cosi come verghiana, cinematografica,

è la Tempesta del 1920, che segna dopo la sua breve infatuazione futurista,

il suo ingresso nella Nuova Oggettività, il suo “ritorno all’ordine”,

con una riconquista dei canoni, anche tragici della bellezza, in una

chiave che possiamo definire, a tipo modernamente classica. In lui

vige un luminismo caravaggesco, con calori che non hanno nessuna

naturalezza, ma sono totalmente inventati (alla maniera di El Greco) e

resi moderni, dell’età della luce elettrica. Cagnaccio non ama gli ismi e

le comunità e non si sente isolato in compagnia della sua pittura, preso com’è

dalla sua tensione oggettivante, non ideologica, non dogmatica, ma di

continua verifica dell’immaginario e del fare, gelosissimo della sua libertà

artistica ed estetica (poetica) ma anche etica e spirituale: Naufraghi, ne è

la più affermata testimonianza, complice una sua derivazione da Georges de

LaTour, d’un eloquente rinascimento francese. La sua è quindi una genialità

non casuale e provvisoria, bensì culta, raffinata, aristocratica, che lo porta

alla meditazione, ad un alto senso religioso, perché l’artista non è un

tecnico, un meccanico, ma un poeta dell’immagine, un sognatore che

scava e costruisce, andando nel profondo, nel buio e orientando la vista

oltre le nubi della banalità rappresentativa. La pittura lo conduce là, dove

il suo animo vuole andare, oltre lo spessore materiale e corporale, nel

campo della mistica e della spiritualità. La scoperta di una grave malattia,

che lo porterà alla morte a 49 anni, esalta la sua volontà di solitudine,

di intimità, ma senza rigorismi e ossessioni. Ma la sua via di minore/

maggiore, è tracciata nella aggiunta alla sua firma di S.D.G. (Soli deo gloria)!