Cagnaccio di San Pietro
Natale Scarpa, in arte Cagnaccio di San Pietro (1897 – 1946) è una
di quelle figure fondamentali del primo cinquantennio del
secolo scorso, la cui forza è tutta in mezzo a noi, perché non è
avvenuta una cesura col secolo che stiamo vivendo, neanche calcolando
il trapasso di millennio, che non è stato traumatico come il precedente,
in cui l’umanità s’aspettava la “fine del mondo”. Guardando i suoi
quadri, tra cui il grande disegno che ho qui davanti a me mentre
scrivo, La Fonte (una sanguigna su carta intelata, del 1935) oppure
la strepitosa Dopo l’orgia rifiutata nel “28, dalla commissione della
Biennale di Venezia, presieduta da Margherita Sarfatti, perché provocatoria
anticonformista, illusoria, irsuta, cosi come verghiana, cinematografica,
è la Tempesta del 1920, che segna dopo la sua breve infatuazione futurista,
il suo ingresso nella Nuova Oggettività, il suo “ritorno all’ordine”,
con una riconquista dei canoni, anche tragici della bellezza, in una
chiave che possiamo definire, a tipo modernamente classica. In lui
vige un luminismo caravaggesco, con calori che non hanno nessuna
naturalezza, ma sono totalmente inventati (alla maniera di El Greco) e
resi moderni, dell’età della luce elettrica. Cagnaccio non ama gli ismi e
le comunità e non si sente isolato in compagnia della sua pittura, preso com’è
dalla sua tensione oggettivante, non ideologica, non dogmatica, ma di
continua verifica dell’immaginario e del fare, gelosissimo della sua libertà
artistica ed estetica (poetica) ma anche etica e spirituale: Naufraghi, ne è
la più affermata testimonianza, complice una sua derivazione da Georges de
LaTour, d’un eloquente rinascimento francese. La sua è quindi una genialità
non casuale e provvisoria, bensì culta, raffinata, aristocratica, che lo porta
alla meditazione, ad un alto senso religioso, perché l’artista non è un
tecnico, un meccanico, ma un poeta dell’immagine, un sognatore che
scava e costruisce, andando nel profondo, nel buio e orientando la vista
oltre le nubi della banalità rappresentativa. La pittura lo conduce là, dove
il suo animo vuole andare, oltre lo spessore materiale e corporale, nel
campo della mistica e della spiritualità. La scoperta di una grave malattia,
che lo porterà alla morte a 49 anni, esalta la sua volontà di solitudine,
di intimità, ma senza rigorismi e ossessioni. Ma la sua via di minore/
maggiore, è tracciata nella aggiunta alla sua firma di S.D.G. (Soli deo gloria)!