CLIMAX 13 di Francesco Gallo Mazzeo

Classico. Surreale. Savinio


 

Alberto Savinio (1891 – 1951) sfugge da tutte le parti. Da qualunque parte

pensi di prenderlo, ti accorgi che non è la parte giusta, perché rischi di dire

male, di dire poco, di dire troppo. Ripetere che sia stato musicista, scrittore,

pittore, scenografo è opportuno, quanto meno per darsi un punto di appoggio

e non essere aerei, nel senso nebuloso del termine, di quelli che non stanno

né in cielo, né in terra e cercare di comprendere il comprensibile, cioè poco,

del suo spirito guerriero, che sogna anche quando è ad occhi aperti,

perché i suoi sensi sono capaci di attraversare tutte le opacità e fare un

gioco perenne di visibile e invisibile. Si sente dappertutto il suo incontro

musicale con Massimiliano Reger che gli inocula lo spirito sensuale di

una chimerica classicità baroccale, che poi s’intreccia con le sue letture

di Schopenhauer e di Nietzsche. Confermando la sua personalità, la sua

filosofia, la sua psicologia, che renderà fecondo il suo incontro con Picasso,

Picabia, Cocteau, Jacob, Apollinaire, con il suo stare in avanguardia per

coglierne l’energia, la potenza, ma senza farla diventare intollerante

affermazione del’ormai, ma sperimentale vocazione dell’anche,

per quel suo surrealismo mediterraneo (popolato di miti dionisiaci e di

intonazioni orfeiche e metamorfiche). In tutte le sue intonazioni, che

lo portano su “valori Plastici” come fantasticheria enigmatica dell’atemporale,

che lo fa incontrare con De Pisis, Carrà, Papini; Soffici e con quel genio

organizzativo di Mario Broglio, che lo spinge verso suo fratello, Giorgio De Chirico

e Morandi, che poi servirà a poliedrici come Magritte, Dalì e che gli varrano

un’epigrafe stupenda di quel dissacratore di Andrè Breton: “tutta la mitologa

moderna, ancora in formazione, ha le sue fonti, nelle due opere, quasi

inscindibili, nello spirito di Alberto Savinio e di suo fratello…”. Uno scritto

del 1937 che segue un annuncio di Giullaume Apollinaire del 1914, che cosi

parla di lui: “E’ uno spirito universalmente drammatico che ha la speranza

e la volontà di portare in scena (lo dice in senso metaforico) il soffio potente

di una vera poesia …. che si rivela sotto una forma strana ed enigmatica”. E

come si potrebbero definire opere come Annunciazione e Souvenir d’enfance,

se non come ricordi, ombre di una rappresentazione che fu l’infanzia

e la conferma spietatamente crudele che la vita, per legge, è una sconfitta;

sono sue parole del 1919, che così riprende trenta anni dopo a proposito della

sua attività immaginaria e della sua pittura in particolare: “le mie pitture

erano già nate, prima che fossero dipinte…” quindi è giusto che vivano

al di là della superficie dipinta, come delle maschere pirandelliane che si

agitano, perché cercano uno o più autori, mentre esse sono, uno, nessuno,

centomila, che cercano di convincere gli attori a rappresentarli. Come nel libro

dal titolo, “Narrate uomini la vostra storia” Così!