Classico. Surreale. Savinio
Alberto Savinio (1891 – 1951) sfugge da tutte le parti. Da qualunque parte
pensi di prenderlo, ti accorgi che non è la parte giusta, perché rischi di dire
male, di dire poco, di dire troppo. Ripetere che sia stato musicista, scrittore,
pittore, scenografo è opportuno, quanto meno per darsi un punto di appoggio
e non essere aerei, nel senso nebuloso del termine, di quelli che non stanno
né in cielo, né in terra e cercare di comprendere il comprensibile, cioè poco,
del suo spirito guerriero, che sogna anche quando è ad occhi aperti,
perché i suoi sensi sono capaci di attraversare tutte le opacità e fare un
gioco perenne di visibile e invisibile. Si sente dappertutto il suo incontro
musicale con Massimiliano Reger che gli inocula lo spirito sensuale di
una chimerica classicità baroccale, che poi s’intreccia con le sue letture
di Schopenhauer e di Nietzsche. Confermando la sua personalità, la sua
filosofia, la sua psicologia, che renderà fecondo il suo incontro con Picasso,
Picabia, Cocteau, Jacob, Apollinaire, con il suo stare in avanguardia per
coglierne l’energia, la potenza, ma senza farla diventare intollerante
affermazione del’ormai, ma sperimentale vocazione dell’anche,
per quel suo surrealismo mediterraneo (popolato di miti dionisiaci e di
intonazioni orfeiche e metamorfiche). In tutte le sue intonazioni, che
lo portano su “valori Plastici” come fantasticheria enigmatica dell’atemporale,
che lo fa incontrare con De Pisis, Carrà, Papini; Soffici e con quel genio
organizzativo di Mario Broglio, che lo spinge verso suo fratello, Giorgio De Chirico
e Morandi, che poi servirà a poliedrici come Magritte, Dalì e che gli varrano
un’epigrafe stupenda di quel dissacratore di Andrè Breton: “tutta la mitologa
moderna, ancora in formazione, ha le sue fonti, nelle due opere, quasi
inscindibili, nello spirito di Alberto Savinio e di suo fratello…”. Uno scritto
del 1937 che segue un annuncio di Giullaume Apollinaire del 1914, che cosi
parla di lui: “E’ uno spirito universalmente drammatico che ha la speranza
e la volontà di portare in scena (lo dice in senso metaforico) il soffio potente
di una vera poesia …. che si rivela sotto una forma strana ed enigmatica”. E
come si potrebbero definire opere come Annunciazione e Souvenir d’enfance,
se non come ricordi, ombre di una rappresentazione che fu l’infanzia
e la conferma spietatamente crudele che la vita, per legge, è una sconfitta;
sono sue parole del 1919, che così riprende trenta anni dopo a proposito della
sua attività immaginaria e della sua pittura in particolare: “le mie pitture
erano già nate, prima che fossero dipinte…” quindi è giusto che vivano
al di là della superficie dipinta, come delle maschere pirandelliane che si
agitano, perché cercano uno o più autori, mentre esse sono, uno, nessuno,
centomila, che cercano di convincere gli attori a rappresentarli. Come nel libro
dal titolo, “Narrate uomini la vostra storia” Così!