Antonietta Raphael. Con Tatto. Con Stile.
Ho sempre pensato che Antonetta Raphael Mafai (1895/1975) appartenesse,
come di fatto appartiene, all’olimpo dei grandi artisti del Novecento, accanto
a compagne di rango, come Tamara de Lempicka, Maria Elena Veiera da Silva,
Natalia Goncharova, Titina Maselli; una donna scultrice, ebrea, lituana, diventata
romana, capace di segnare uno spartiacque, nella storia dell’arte del secolo appena
Scorso. La prima siciliana, risalente a Pancrazio De Pasquale, brillante messinese,
prestato alla politica, che mi presentò sua moglie SimonaMafai, poco sorridente,
misteriosa, ma francamente raffinata e colta, in occasione di una mostra di Piero
Dorazio, nella casa del comune amico Angelo Marzullo ( di cui, prima o poi, racconterò
la storia del casuale e felice incontro con Peggy Guggenheim). Siamo sul finire degli
anni settanta. La seconda, romana, con Giulia, la più giovane delle figlie della triade
capeggiata da Miriam; del racconto della cacciata dalle scuole pubbliche, per le
imperdonabili leggi razziali del fascismo, in una sua serenità e allegria, dopo il suo lungo
racconto, fatto con fierezza e fermezza. Fece una bella conferenza sulla madre, nella
sede dell’accademia di belle arti di Roma, in forma dialogata con me. Ne emerse tutta
la forza di una donna, capace di interpretare da vincente, tutte le parti, che la vita le
aveva offerto, presentato, imposto, con una grazia velata di durezza, in una grande forza,
mostrata, dimostrata dalle sue sculture, dalle sue pitture, dai suoi disegni. Profondità e
ricerca, sono gli opposti che lei sapeva conciliare, in un senso profondo dell’immagine,
che non è mai individuale, empirica, ma sempre metaforica, anche quando ritrattistica.
In lei c’è una specularità, di un tempo alto e crudele, fatto di astrazioni poetiche e mentali,
ma anche di dure repliche della storia, che si riflette debolmente in tutti noi, ma i lei
fortemente. Un giorno, durante l’occupazione nazista di Roma, mentre si trovava su un
tram, venne notata da un militare nazista, forse una SS; questi le si avvicinò e le chiese,
con tono perentorio: “… è di Roma lei…1?”. La sua risposta fu secca: “cccetto, cche lo
sono, ssono rromana”, assai poco romanesca. La cosa finì lì, mentre il suo cuore
batteva a tremila. Ma senza che lei si scomponesse di un ette. Così nelle parole di Giulia.
Un anno dopo, una cosa che mi fece vergognare. In una casa d’aste romana,si disperdeva,
su imperativo degli eredi (quasi mai meritevoli dell’eredità) la collezione di un noto
politico ( di cui ovviamente taccio il nome), al miglior prezzo, che vuol dire a qualsiasi
prezzo, si dice in realtà, portatelo via anche gratis, purchè ve lo portiate; un prezioso
disegno suo, di Antonietta Raphael Mafai, offerto a poche decine di euro, una trentina.
D’intesa con un caro amico, che mi faceva compagnia, alleviando la camminata della mia
sciatalgia, facendo ping pong, fra i pochi increduli presenti e ci guardano perplessi, lo
facemmo giungere a mille, almeno, aggiudicato. E’ con me.!