CLIMAX 14 di Francesco Gallo Mazzeo

De Pisis. Naturale. Floreale.

Uomini bellissimi, scelti con molta cura, coperti solo da gusci

di granseole, con solo due donne, Ida Barbarigo, scultrice e pittrice

raffinata, che ho avuto la fortuna di frequentare, sia a Parigi, dove

poi si era stabilita, con suo marito Anton Zoran Music, che nella sua

casa, di due interi piani a Venezia, (nello stesso palazzo dove soggiornava

François Mitterand) e Daria Guarnati una eccentrica editrice, esperta d’arte,

di moda e di vita sofisticata. Il giardino era quello di casa De Pisis. Ma la

festa durò poco; accusati di mollezza borghese, seminudi di torso e volti

dipinti e mascherati, vennero tutti arrestati da partigiani comunisti e portati in

questura (siamo nel ’45) tra scherni e reprimende. Vennero trattenuti poco,

solo De Pisis venne rilasciato dopo due giorni con l’ammonimento a non

organizzare più orge del genere. Gli uomini sono sempre piaciuti a De Pisis

ed hanno ispirato molti dei suoi scritti e dei suoi quadri; nei suoi ricorrenti

paesaggi urbani, nudi maschili, femminili, ermafroditi, di quella che è stata

una delle figure artistiche più brillanti del nostro novecento. Compagno di

strada di De Chirico, Carrà e Savinio, influenzato dalla ricchezza di colori

intensi e dalle atmosfere luminose di Manet e Renoir, oltre che dalle

suggestioni esoteriche di Julius Evola, dopo la prima esperienza

metafisica, che gli lascia l’impronta della oggettività straniata, delle

 nature morte, in tutta spazialità e senso d’infinito, non perderà mai il suo

impianto originario di colorismo veneto. Voglio ricordare la sua grande

sensibilità disegnativa, che lo porta ad indagare nella natura animata e

inanimata, entrando dentro le fenomeniche delle apparizioni, quasi a

scrutarne il fondo più fondo, l’intimità, con una forza psicologica, che

alla lunga si trasmetterà in ogni ambito del suo dire e del suo fare,

tanto da trafiggerlo, travolgerlo in quel suo ritmo aperiodico, verso uno

spezzato, un sincopato che esprime un grande senso di dolore, che non

è fisico, non è materiale, ma è totalmente spirituale. Un vortice che lo porta

nel vuoto allucinatorio dove si pongono le sue nature morte con animali,

con bacchini, con conchiglie e non ne sono esenti neanche le sue vedute

urbane, paesaggistiche, che sono una sorta di diario impudico, di un poeta

divenuto pittore. Oggi, che le sue vicissitudini personali, umane, sono divenute

storia, non sempre bella, come quella della Biennale di Venezia del ’48,

presente con una sua sala personale e candidato al Gran Premio, impedito

da un telegramma di Roma, che ne proibì il conferimento perché omosessuale;

possiamo dire di avere avuto tra noi un’anima nobile, che è riuscita a

leggere il futuro di vuoto e di perdizione che è spesso intorno a noi, con cerulee

immagini semplici e complicate, da vero genio. È morto nel 1956 a 60 anni.