De Pisis. Naturale. Floreale.
Uomini bellissimi, scelti con molta cura, coperti solo da gusci
di granseole, con solo due donne, Ida Barbarigo, scultrice e pittrice
raffinata, che ho avuto la fortuna di frequentare, sia a Parigi, dove
poi si era stabilita, con suo marito Anton Zoran Music, che nella sua
casa, di due interi piani a Venezia, (nello stesso palazzo dove soggiornava
François Mitterand) e Daria Guarnati una eccentrica editrice, esperta d’arte,
di moda e di vita sofisticata. Il giardino era quello di casa De Pisis. Ma la
festa durò poco; accusati di mollezza borghese, seminudi di torso e volti
dipinti e mascherati, vennero tutti arrestati da partigiani comunisti e portati in
questura (siamo nel ’45) tra scherni e reprimende. Vennero trattenuti poco,
solo De Pisis venne rilasciato dopo due giorni con l’ammonimento a non
organizzare più orge del genere. Gli uomini sono sempre piaciuti a De Pisis
ed hanno ispirato molti dei suoi scritti e dei suoi quadri; nei suoi ricorrenti
paesaggi urbani, nudi maschili, femminili, ermafroditi, di quella che è stata
una delle figure artistiche più brillanti del nostro novecento. Compagno di
strada di De Chirico, Carrà e Savinio, influenzato dalla ricchezza di colori
intensi e dalle atmosfere luminose di Manet e Renoir, oltre che dalle
suggestioni esoteriche di Julius Evola, dopo la prima esperienza
metafisica, che gli lascia l’impronta della oggettività straniata, delle
nature morte, in tutta spazialità e senso d’infinito, non perderà mai il suo
impianto originario di colorismo veneto. Voglio ricordare la sua grande
sensibilità disegnativa, che lo porta ad indagare nella natura animata e
inanimata, entrando dentro le fenomeniche delle apparizioni, quasi a
scrutarne il fondo più fondo, l’intimità, con una forza psicologica, che
alla lunga si trasmetterà in ogni ambito del suo dire e del suo fare,
tanto da trafiggerlo, travolgerlo in quel suo ritmo aperiodico, verso uno
spezzato, un sincopato che esprime un grande senso di dolore, che non
è fisico, non è materiale, ma è totalmente spirituale. Un vortice che lo porta
nel vuoto allucinatorio dove si pongono le sue nature morte con animali,
con bacchini, con conchiglie e non ne sono esenti neanche le sue vedute
urbane, paesaggistiche, che sono una sorta di diario impudico, di un poeta
divenuto pittore. Oggi, che le sue vicissitudini personali, umane, sono divenute
storia, non sempre bella, come quella della Biennale di Venezia del ’48,
presente con una sua sala personale e candidato al Gran Premio, impedito
da un telegramma di Roma, che ne proibì il conferimento perché omosessuale;
possiamo dire di avere avuto tra noi un’anima nobile, che è riuscita a
leggere il futuro di vuoto e di perdizione che è spesso intorno a noi, con cerulee
immagini semplici e complicate, da vero genio. È morto nel 1956 a 60 anni.