Geometristi. Astratti. Lombardi
Da tempo, s’assiste ad una visione riduzionista dell’Italia, da punti
di partenza e di vista differenti, ma tutti convergenti nel dire che da noi tutto
è piccolo, tutto è in ritardo, tutto è ripetitivo. È un dopoguerra infinito,
quello che ha seguito la sconfitta del fascismo e con esso le nefandezze
(la guerra, le leggi razziali, la sudditanza al nazismo) Non voglio parlare
della mancanza di libertà civili e politiche, perché quelle mancavano
dappertutto tranne che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, a cui dobbiamo
tutto quello che abbiamo (libertà, benessere, futuro). Ma detto questo che
è il novanta per cento, bisogna dire che la storia bisogna scriverla per bene.
Per questo affermo che non sia possibile fare storia dell’attualità, di quella
che erroneamente viene chiamata contemporanea, ci dobbiamo limitare ad
una saggistica fatta a trecentosessanta gradi e di raccogliere memorie, testimonianze
e tutto quanto si ritiene utile e necessario. Una erroneità generalizzata (detta
contemporaneità) non ne fa una giustezza. In quanto contemporaneità, non è
affatto una diacronia, di qualche cosa che sia hic e nunc, ma una affinità
elettiva, acronica, che fa tutto contemporaneo, ogni tempo, anche se antico,
antichissimo e può non farne “niente” del nostro vicino più vicino (e parlo di me
nei confronti di certa musica, di certa spettacolarità, di certa sottocultura di
massa, del folclore in genere). Per scrivere la storia ci vuole senso del factum,
che non è apoditticamente verum, ma può esserlo, se scomposto evidenziandone
le componenti che stanno dentro il fumus fenomenologico, mettendone in evidenza
le parti, razionali, narrative, le complessità, le aberrazioni, le incongruenze, le follie,
le poesie e tutto quanto è ascrivibile ad ogni unità, ad ogni complesso. Dico questo
perché quando si pensa all’eredità di Boccioni e Sant’Elia, nelle figure di artisti
come Rho, Radice, Veronesi, Magnelli, Melotti, Munari, a “scuole” di architettura
come quelle di Terragni, Lingeri, Cattaneo, Pagatschnig (detto Pagano), al
Movimento Razionalistico, a Edoardo Persico e ad imprese come quella della
Galleria Il Milione di Milano, in quel grande ping pong di Como e Milano, bisogna
stare attenti e coglierne tutto il potenziale, che dagli anni trenta (auspice la brezza
del Premio Bergamo) si è profuso fino a noi, permettendo quella grande avventura
che si chiama design, salone del mobile, Pinin Farina e prima ancora BBPR (Banfi,
Belgioioso, Peressutti, Rogers). Vera grande scuola che non poteva nascere, se non
in Lombardia, cuore della modernità italiana, erede dell’illuminismo di Pietro e
Alessandro Verri, di Cesare Beccaria e della loro rivista “Al Caffè”, che aveva
trovato in Kant e in Loche, le radici di quel portento chiamato Voltaire. Oggi tutto
questo si chiama, Bellini, Armani, Dolce & Gabbana Chilometro Rosso, City Life,
ma anche Castellani, Bonalumi, Simeti, U. Mariani…un universo in magico moto.