CLIMAX 23 di Francesco Gallo Mazzeo

 

 

Guttuso. Reale. Realistico. Geniale.

 

La tomba. È di Manzù, ma non bella, in marmo rosaceo di venature blu, con colombe svolazzanti, sopra una base con scritta aurea, “Renato Guttuso”. Dà un senso di solitudine e non rispecchia l’uomo, l’artista che in essa è sepolto, nel parco di Villa Cattolica, a Bagheria, città della sua nascita e del suo imprinting siciliano, della sua solidarietà con Lia Pasqualino Noto, a quella infinita con Courbet, Van Gogh, Picasso, per giungere al suo realismo, marcato da espressionismo narrativo e magico, sempre intriso di eros implicito, diventato esplicito nel suo travolgente ciclo marzottiano. Guttuso è un gigante in tutti i sensi, uno di quegli artisti che ha veramente rinnovato l’immaginario moderno, scoprendone nascondimenti intellettualistici, rivelandone percorsi che vanno dalla Crocifissione, del 1942, ai Funerali di Togliatti, del 1972, due opere eclatanti, del suo modo di concepire il ruolo dell’arte, come “commento” intraducibile della tragedialità e della drammaticità, senza scegliere tra una figuratività e una astrazione, nel mezzo di un andare per metafore, raccogliendo in sé, un senso della storicità, che non è il racconto variabile della “commedia umana”. In lui c’è il senso di valore immortale che si chiama, volontà di sapere, spirito titanico della trasformazione, elogio della morfosi della bellezza, in quanto misura, simmetria, ritmo. Con Vucciria e Caffè Greco, dispone i suoi colonnari di antropologia e di culturologia, che sempre lo connotano, nel suo grande desiderio di amore, quello di Mimise e quello di Marta, nella sua ansia di vivere, come uomo di ideologia e come uomo di passione. La vasta produzione di pitture, di disegni, di grafiche, che ne hanno fatto un idolo di consumo, non ne hanno intaccato quella sorta di sacralità, che gli permetteva di essere dialettico, sia quando consentiva che quando dissentiva (vedi il suo rapporto con gli artisti di Forma 1, che quello dei suoi distinguo con Vittorini e altri che diventano reprobi da parte del “pci”,  da Roderigo di Castiglia, castigatore, a Mario Alicata e Antonello Trombadori, mediatori. Oggi come oggi, la sua eredità è offuscata dai mutamenti culturali che si sono succeduti dopo la fine dell’Unione Sovietica e la caduta del Muro di Berlino e il diffondersi della fumosità di un grigio mistificante, sia del rosso che del bianco. Mentre bisogna distinguere, oltre che i colori, la validità artistica, dalle vicende umane, se si vuole essere storici, critici e onesti. Siamo in unperiodo in cui tanti, troppi, tendono a confondere le acque, essendo in molti, come quei voltagabbana di cui parlava Davide Layolo, che facevano (e fanno) finta di non conoscere quelli che conoscevano(e conoscono) bene e abbracciano ed elogiano, come se niente fosse, quelli che hanno sempre dileggiato. E mi faccio profeta, di un Guttuso capace di leggere il nuovo e il diverso, di non morire di dogmatismo, ma testimoniare, in arte e in vita, il vero di una storia tutta da scrivere.