CLIMAX 24 di Francesco Gallo Mazzeo

Bona de Mandiargues. Surreale. Irritante.

 

All’inizio era Bona Tibertelli de Pisis, ben nata e tutta italiana, diventa poi

de Mandiargues, dopo il matrimonio con lo scrittore e critico Andrè Pieyre,

negli anni della sua “migrazione” a Parigi, dopo Roma, Modena, Venezia,

che sono anche le occasioni di entrata nell’area surrealista, arrivata alla

sua terza età, con gli eterni Breton, Ernst, Ray, Dubuffet, Michaux, Bellmer.

Siamo ai primi anni cinquanta e lei è al massimo dello splendore, dei suoi

vent’anni, tanto da suscitare ammirazione affascinata di tutti, per la sua

bellezza e farla definire da Octavio Paz, come la donna più bella del mondo.

Naturalmente si tratta di una esagerazione, ma di una esagerazione ben

fondata sul suo aspetto fisico, non meno che sulla sua spiccata intelligenza

e bravura artistica, che si comincia a manifestare, nei suoi quadri di piccole

dimensioni, ma che non si possono definire quadretti, bensì indagini delle

nature cangianti, che sono paesaggi antropomorfi, radici di piante, creature

mostruose, in un avvolgente onirismo, di spazio totalmente immaginario e

metafisicizzante. La morte dello zio Filippo de Pisis, nel ’56, la destabilizza

e la fa passare ad una fase in cui in cui il suo surrealismo si fa spettrale,

metamorfico, lunare, con l’utilizzo di decalcomanie stranianti e l’uso frequente

di terre, polveri, intonaci, che diventano opere senza soggetto, con una

astrazione incombente, che fa sparire le figure, segnando un suo momento

di forte trapasso intellettuale e morale, accentuato dalla frequentazione di

donne protagoniste come Dorothea Tanning, Germaine Richier, Meret

Oppenheim, Unica Zurm, Leonora Carrington. Tutte queste artiste, danno

occasione a de Mandiargues e Paz, di soffermarsi, sulla rivista “Obliques”

sulle prospettive di un nuovo protagonismo femminile, diverso da quello

maschile, ma esplorativo di un versante artistico totalmente nuovo, mai

percorso dalla psicologia maschile. Per lei è il momento di un nuovo modo

di atteggiarsi artistico, quello che parte dal collage di tessuti, diventato il

Visage Patchwork e l’accentuarsi di una sua surreale metafisica, totalmente

straniante e contorta, nella sua ansia di penetrare l’ignoto e l’imprevisto.

Realizza ritratti illustri, in tessuto, riprendendo modernamente, l’itinerario

dell’arazzo, ma con una caratura non tradizionale, speciale, “sperimentale”.

Tanto per cambiare, si fa per dire. Notevole è anche la sua scrittura, sia

poetica che descrittiva, espressione della sua trasgressività a tutto tondo,

da La Cafarde, dell’1966, a Moi-meme, successivo. Insomma una vera

e propria protagonista. È morta, nel pieno della sua capacità creativa,

nel 2000. Io ho avuto la ventura di conoscerla, sul finire degli anni ottanta,

a Milano e Parigi. Non mi fece una bella impressione, la trovai fredda e

scostante. Oggi ne percepisco tutto il fascino. Umano e creativo.!!!