CLIMAX 31 di Francesco Gallo Mazzeo

Julius Evola. Monologico. Pittorico. Simbolico

Un grande. In ogni senso. Non esente da errori, nella sua vita di pensatore (perché è stato filosofo della statura di Gentile e Croce, per certi versi non meno di Heidegger). La sua biografia è sconosciuta, come la vasta mole della sua opera. Ma qui è solo della sua pittura che ci vogliamo occupare. Monologico, profondo, nella parola, che si propone di chiarire ad ogni momento, in modo che non contamini la sua perizia nel dire. Pittorico, perché la sua pittura è calligrafia del suo scrivere ossimoro, chiaro e complesso. Simbolico, per ogni metafora e metonimia inestricabile, data la sua immensa cultura di yoga, di purificazione, di esoterismo; quello vero, capace di percorrere l’immaginario come un regno di sogno, dove si estende tutta la sua area, piena di nodi e grovigli, che vanno dall’intuizione alla teoresi, nello scompenso continuo, dell’orizzonte della ragione, della verticalità dello spirito. Il suo è un existere, basata su una acronia evolutiva biologica e una diacronia biografica, costruita sulla capacità del logos di essere luminosità e trasparenza. È la pittura di un alchemico della combinazione e di un alchimista etimologico; il suo specchio riflettente è il reale che presiede ogni schema di realtà. Una dialettica palatina tra individualità poetica e coralità narrante. Guai ad osservare la sua pittura dall’angolatura del filosofo che illustra e semplifica, sarebbe una riduzione indebita, tra complessità che si traveste di semplicità e l’opposto di una semplicità, mimetica e mentita. Si tratta, in maniera sorgiva, della sua capacità di e essere duale, nella sua preponderante unità.  Una enigmaticità piena, in cui la pittura e il disegno colorato, assorbe tutte le istintualità e tutte le glossolalie, del tutto, pur mantenendo una moltiplicata porosità, necessaria in tutta la grammatica e la sintassi, della narrazione ispirata e sapienziale. In effetti si tratta di un giano, che consiste in lui, in forma totalmente invisibile e sincronicamente in una eroticità, piena d’immagine, così come è piena quella della sua parola; la sua è in effetti, una capacità di cambiare frequenza, pur rimanendo nelle stesse stanze di vita, potendo essere all’unisono, ai mitici Apollo e Dioniso, senza doversi (commedialmente) sdoppiare, con una contemporaneità attualissima; e sbaglia chi registra la sua pittura, come una sospensione psicologica della sua inseità. Julius Evola è un dotato; dotato di pensiero profetico come Alberto Savinio, come Ezra Pound, figure monumentali delle catastrofi del novecento, che è stato catastrofico, inveratore di utopie distopiche e di virtù barbariche del dadaismo e oniriche del surrealismo. Un prima e un dopo, non ad un insieme di certezze compatte e definite, ma ad un nascosto e forse sotterrato, pandemonio di detti e contraddetti, che ci stavano conducendo e sempre più ci conducono in universi sconosciuti, deserti in apparenza; in realtà, zeppi di tutti e di tutto, ma in cui si parla anche senza parlare e in cui si immagina in continuazione: oggi, in olografie fantastiche e virtualità sfuggenti. E sì, è lui.!