Sant’Elia. Gratta. Cielo
Antonio Sant’Elia aveva negli occhi le immagini e le storie
visive della Bologna, dalle torri proliferanti in ogni piazza
e in ogni strada (di cui restano Garisenda e Asinelli) la San Gimignano
ancora turrita e la fascinosa narrazione rinascimentale, che
ha archetipo la Torre di Pisa e si svolge come un grande libro della
provvidenza divina, nelle città ideali, parzialmente ricostruite, come
Sabbioneta, Pienza, Mesola, oppure quella Sforzinda, rimasta
nei pensieri e nei disegni del Filarete. Un bel congegno poetico,
ingegneristico, che ha la sua consacrazione poetica e immaginaria
nella Città Ideale di Anonimo (1470 – 1490 c.) conservata nella
Galleria Nazionale di Urbino. All’inizio, nel suo pantheon, c’è
anche Otto Wagner e genealogie di Bernini e Borromini; ma
poi tutto cambia, si lascia alle spalle anche sé stesso, quello della
Villa Elisi a San Maurizio di Como e passa alla Città Nuova,
che è tutta area sotterranea, trasversale, i cui edifici alti come
le antiche torri, sono provvisti di ascensori over look, come
terrazze da cui guardare il panorama, prima di raggiungere il piano
desiderato. Tutto questo, con tecnologie adeguate, dell’acciaio, del
vetro doppio, della velocità, con una inventività che non lascia più
spazio a nessun tradizionalismo (quando bisogna rompere, bisogna
essere inesorabili…) e pensa anche di abolire le scale, ma poi ci ripensa,
lasciandole come improbabili, ma necessarie vie d’uscita e sicurezza.
A guardare i suoi disegni si resta strabiliati dalla sua visionarietà verticale e
tale rimase Le Corbusier e archistar a frotte. Di questo futurista
marinettiano ha fatto incetta la grande filmografia avveniristica
del passato, absit iniura verbis, da Metropolis a Blade Runner,
da Quinto Elemento a Brazil a Immortal. Quanta strada abbiamo
fatto, quanta strada ci ha permesso di fare, pur senza avere potuto
realizzare; infatti muore nel 1916 all’età di ventotto anni, lasciandoci
La casa nuova, Spazi Urbani, la stazione di aeroplani e treni, la
centrale elettrica, gli schizzi di architettura. Poco. Tanto. Troppo. Ma
abbastanza per inserirlo nella storia del genio italiano e universale.