CLIMAX 9 di Francesco Gallo Mazzeo

Martini. Antico. Moderno

Ho davanti a me due libri che contengono il pensiero di Arturo

Martini sulla scultura e  sono Colloqui con Arturo Martini, di 

Gino Scarpa,  con sapiente introduzione di Guido Piovene e

l’edizione Jaca Book di La scultura lingua morta; ma per non

farmi mancare niente, anche Contemplazioni, prima edizione,

1918, con scrittura asettica, che sembra uno spartito musicale

e si vuole mostrare come, tale linguaggio, sia senza senso, per

cui vuol dire tutto e niente. Non male, per un autodidatta puro,

frequentatore saltuario di scuole serali, capace di diventare uno

dei massimi esponenti della scultura europea del novecento,

capace di interpretare una linea di ingegno inventivo, che va 

da Michelangelo a Bernini, da Canova a Medardo, con una

qualità tecnica, una solida tradizione, tale da equiparare, ciò,

con la sua scelta di modernità e la sua carica di originalità;

instancabile incisore, ceramista, scultore, che imprecava 

contro tutti e tutto, ma specialmente contro la sua povertà,

sempre compagna indesiderata, nonostante le tante opere,

le tante commissioni, come il Tito Livio, dell’Università di

Padova e il Partigiano Masaccio, con cui si accomiatò dalla

vita, avendo fatto in mezzo, il Tito Minniti, eroe d’Africa e il

Leone di Giuda, di cui esiste il relitto di un bronzo, venuto

male nella fusione. Ramingo per mezza Italia, a volte vendeva

una sua scultura, ancora in facimento, a più di un acquirente,

con tutte le conseguenze di fuga e di cambiamento di amici

e frequentazioni. La mia storia personale, con Martini, è legata

alla vicenda del ritrovamento, in un vecchio magazzino di farine,

sul Monte Amiata, ad Arcidosso, dell’Amante Morta, portentoso

gesso patinato “etruschesco”, oggi a Villa Necchi Campiglio in 

Milano e del Dormiente, detto anche Endimione, alla Galleria

Nazionale di Roma. Il giudizio storico e critico, su di lui e sulla

sua opera, è in gran parte ancora sospeso, se non mancante del

tutto, sulla sua prepotente personalità di scultore, capace di fare,

capace di riflettere, non solo sul suo lavoro, ma anche su quello

degli altri, predicendo un futuro, per la scultura a dispetto della

lingua morta, che per lui era la statuaria (alla Bistolfi…) celebrativa

e a tutta la monumentalistica, auspicando una libertà di ricerca e 

la messa in discussione di ogni canone, facendo partire ogni

regola da ogni genio: il supremo per lui era Michelangelo.