K. CLIMAX 4 di Francesco Gallo Mazzeo

Ritorni all’ordine?

Si pensa che ad una fase di squilibrio, debba succedere un’altra

di equilibrio, nuovo, che metabolizzando le innovazioni, le trasgressioni,

riprenda un cammino di organicità. Per cui, sotto la bandiera di ritorno

all’ordine, passa tutto ciò che riprende il cammino, partendo da un ipotetico

heri dicebamus, facendo finta che non sia successo nulla, mentre tanto è

successo, nell’accelerazione del tempo storico, che non accenna a diminuire,

anzi… con il mutamento continuo dell’ordine delle cose, dei pensieri, degli usi,

dei costumi, in tutti i campi del sapere e del fare. Comunque, non c’è dubbio, che

dopo ogni fase di baldoria (e che baldoria, con cubismo, futurismo, dadaismo)

molti hanno sentito il bisogno di prendere un po’ di respiro. Vedi il Ritratto della

Signora Busoni, di Boccioni, del 1916, ante mortem. Già il neoclassicismo di

Canova, era stato impregnato di tutto l’illuminismo settecentesco, distaccandosi

dalla classicità rinascimentale (quanto diversa, dal classico greco e romano), tanto

che quando gli venne chiesto di reintegrare i marmi del frontone del Partenone,

detti di Lord Elgin, si rifiutò di farlo, anticipando il concetto di valore del frammento,

precedendo i concetti romantici, tuttora vigenti, portatori di luce dell’astrazione e

dell’informale. Stante, le oscillazioni, le andate e gli apparenti ritorni, possiamo così

individuare i modi e le esegetiche, per leggere artisti come Giorgio Morandi, come

Arturo Martini, come Felice Casorati, che hanno portato nel novecentismo, dopo

avere osmoticamente assorbito tutto, dall’impressionismo, all’espressionismo, alle

avanguardie, un senso della tradizione, che è grandiosità della composizione,

esemplarità, non ripetitiva della lezione del passato, che non è affatto vecchiezza,

ma luce (luce diversa) per comprendere il nuovo. Morandi, con la sua inesausta

discendenza da Georges de La Tour, caravaggesca e luminista e poi metafisica

dechirichiana, ha dato il senso visivo della solitudine del nostro lungo tempo

presente, della sospensione dell’élan vital, in un sogno immobile, silenzioso,

atmosferico. Martini, scultore, innamorato blasfemo di Michelangelo, di cui non

faceva altro che dire male, bestemmiando, come gli ubriachi fanno di Dio, autore

di Scultura lingua morta, come esigenza di messaggio di vita e di vitalità, come

chiusura di un’epoca e apertura di un’altra, tanto è vero che il suo Tito Livio e

il suo Palinuro, sono considerati grandi insegnamenti, dal grande e celebrato

Henry Moore. E Casorati, con la sua opera di solitario attraversatore di oceani

formali, con l’occhio attento al Piero della Francesca, appena uscito dall’oblio

degli orecchianti e degli abusivi, messi da canto dalla lezione di Cavalcaselle,

Morelli e Berenson, “creatori” della storia dell’arte, che molti credono millenaria

e invece è frutto della modernità, del suo occhio puntato in tutte le direzioni e

fondamento di un eclettismo aulico. Silvana Cenni, è il suo capolavoro, che

ci fa affermare il senso alto dell’ordine, visibilità della divina proporzione.