Ritorni all’ordine?
Si pensa che ad una fase di squilibrio, debba succedere un’altra
di equilibrio, nuovo, che metabolizzando le innovazioni, le trasgressioni,
riprenda un cammino di organicità. Per cui, sotto la bandiera di ritorno
all’ordine, passa tutto ciò che riprende il cammino, partendo da un ipotetico
heri dicebamus, facendo finta che non sia successo nulla, mentre tanto è
successo, nell’accelerazione del tempo storico, che non accenna a diminuire,
anzi… con il mutamento continuo dell’ordine delle cose, dei pensieri, degli usi,
dei costumi, in tutti i campi del sapere e del fare. Comunque, non c’è dubbio, che
dopo ogni fase di baldoria (e che baldoria, con cubismo, futurismo, dadaismo)
molti hanno sentito il bisogno di prendere un po’ di respiro. Vedi il Ritratto della
Signora Busoni, di Boccioni, del 1916, ante mortem. Già il neoclassicismo di
Canova, era stato impregnato di tutto l’illuminismo settecentesco, distaccandosi
dalla classicità rinascimentale (quanto diversa, dal classico greco e romano), tanto
che quando gli venne chiesto di reintegrare i marmi del frontone del Partenone,
detti di Lord Elgin, si rifiutò di farlo, anticipando il concetto di valore del frammento,
precedendo i concetti romantici, tuttora vigenti, portatori di luce dell’astrazione e
dell’informale. Stante, le oscillazioni, le andate e gli apparenti ritorni, possiamo così
individuare i modi e le esegetiche, per leggere artisti come Giorgio Morandi, come
Arturo Martini, come Felice Casorati, che hanno portato nel novecentismo, dopo
avere osmoticamente assorbito tutto, dall’impressionismo, all’espressionismo, alle
avanguardie, un senso della tradizione, che è grandiosità della composizione,
esemplarità, non ripetitiva della lezione del passato, che non è affatto vecchiezza,
ma luce (luce diversa) per comprendere il nuovo. Morandi, con la sua inesausta
discendenza da Georges de La Tour, caravaggesca e luminista e poi metafisica
dechirichiana, ha dato il senso visivo della solitudine del nostro lungo tempo
presente, della sospensione dell’élan vital, in un sogno immobile, silenzioso,
atmosferico. Martini, scultore, innamorato blasfemo di Michelangelo, di cui non
faceva altro che dire male, bestemmiando, come gli ubriachi fanno di Dio, autore
di Scultura lingua morta, come esigenza di messaggio di vita e di vitalità, come
chiusura di un’epoca e apertura di un’altra, tanto è vero che il suo Tito Livio e
il suo Palinuro, sono considerati grandi insegnamenti, dal grande e celebrato
Henry Moore. E Casorati, con la sua opera di solitario attraversatore di oceani
formali, con l’occhio attento al Piero della Francesca, appena uscito dall’oblio
degli orecchianti e degli abusivi, messi da canto dalla lezione di Cavalcaselle,
Morelli e Berenson, “creatori” della storia dell’arte, che molti credono millenaria
e invece è frutto della modernità, del suo occhio puntato in tutte le direzioni e
fondamento di un eclettismo aulico. Silvana Cenni, è il suo capolavoro, che
ci fa affermare il senso alto dell’ordine, visibilità della divina proporzione.